Con la speranza di caricarci sulle spalle un peso sostenibile per la nostra deboluccia colonna vertebrale, oggi ricorreremo alla grande sapienza e saggezza degli antichi per cercare di interpretare lo stato d’animo della gente e la volontà, più o meno manifesta, di chi quotidianamente amministra la cosa pubblica. Circa 26 anni fa durante i nostri studi liceali, abbiamo avuto il piacere di cimentarci nella traduzione di una versione di Valerio Massimo intitolata “Anus Syracusarum” ( La vecchia di Siracusa) che troviamo di straordinaria e squisita attualità: “Tutti gli abitanti di Siracusa desideravano vivamente la fine del tiranno Dioniso a causa della sua eccessiva crudeltà e delle insostenibili imposte del regno. Al contrario una vecchia, ogni giorno di buon mattino, pregava gli dei affinché Dioniso restasse in salute. Questi, quando sentì di questa cosa, poiché desiderava conoscere la causa di tanta benevolenza non meritata, fece venire la vecchia e le chiese il perché facesse questo. Allora quella rispose: “ Sarò onesta con te, Dioniso, : quando ero fanciulla, regnava un feroce tiranno e per questo motivo desideravo la sua morte. Ma, dopo che egli fu ucciso, gli successe al trono un tiranno peggiore. Allora pregavo gli dei affinché finisse anche il dominio di quello. Dopodiché arrivasti al potere tu, il peggiore tra tutti i tiranni. Così, affinché dopo la tua morte non arrivi al tuo posto un signore ancor più cattivo, offro agli dei la mia testa per la tua buona salute. Dioniso non punì tanta audacia di spirito e mandò via la vecchia salva e incolume”. Con i dovuti distinguo, perché trattasi di contesti storici e politici assai diversi, reputiamo che la convinzione della vecchia di Siracusa appartenga ad una buona parte degli elettori: ”E’ inutile votare tanto non cambia nulla, ogni politico pensa solo a se stesso e chi verrà sarà sicuramente peggiore del precedente”. Ecco in parte spiegato il forte astensionismo, che tocca livelli record in diverse realtà del centronord e più contenuti al centrosud, dove votano più persone non perché siano entusiaste o credano in una svolta, ma solo perché un politico amico può sempre tornare utile. Ed i politici invece come si pongono? Davvero sono incuranti di qualsiasi istanza di cambiamento e tutelano esclusivamente i loro interessi? Diamo uno sguardo alla realtà più vicina a noi, così che ognuno ne trarrà le sue legittime considerazioni. A Marcianise, difronte ad un’amministrazione comunale che fa acqua da tutte le parti per ritardi, disservizi, liti e contrapposizioni interne, dimissioni e continue sostituzioni assessoriali, gli zinziani, rappresentati in consiglio comunale da Carmen Foglia, Pasquale Salzillo, Francesco Zinzi, dietro alla bandiera con lo sfondo azzurro recante il simbolo scudocrociato nell’angolo a destra, quello di Forza Italia al centro con la scritta “Ora non ci conviene andare alle urne”, hanno messo su una formidabile opera di ingegneria democristiana che all’occorrenza è funzionale alla maggioranza o all’opposizione. Ne hanno dato prova al momento del voto sul bilancio passato per 11 a 10 ove Salzillo e Zinzi si son espressi contro e Carmen Foglia si è volatilizzata. Per carità, comprendiamo che una repentina defenestrazione di De Angelis, coglierebbe impreparati gli zinziani a costituire una coalizione di centrodestra coesa e compatta, ma un paio di domande ci sorgono spontanee: ”Che senso ha perder tempo, organizzarsi e vincere per governare una città che di questo passo si avvia ad un collasso amministrativo e finanziario? E quando sarà il momento delle elezioni, i cittadini capiranno le ragioni di questa vostra posizione”? A nostro modesto parere, potrebbe esser più proficuo risparmiare altri dolori alla città, andare alle urne con capolista chi più di ogni altro ben incarna e pratica la logica della maggioranza opposizione: il consigliere comunale Francesco Zinzi. L’ingegnere ha una capacità politica più unica che rara a tessere i fili per il tirar a campare del sindaco, e nel medesimo tempo di porsi come il Masaniello dei marcianisani contro le vessazioni e disservizi dell’amministrazione comunale. Il nostro è un benevolo consiglio, poi Zinzi e company facciano come che ritengano più opportuno. Chi, invece, fregandosene di ogni tatticismo e posizionamento politico procede spedito per la sua strada di protesta –proposta sono i Cinquestelle che domenica scorsa erano di nuovo in Piazza Carità per l’adozione di Piazza Pertini e contro l’aumento delle tariffe della mensa scolastica. Per le 5 donne cui sono affidate le relazioni esterne (Marianna Giuliano, Rosa Tartaro, Anna Guerriero, Lucrezia Granaglia, Anna Pasquariello) e le altre decine di aderenti al Movimento, però, c’è un problema grosso come il mare: trovare un candidato sindaco che non abbia nel Dna i geni dell’arricchimento a spese del Movimento e dell’infedeltà alla dottrina di Grillo e Casaleggio. Ne esisteranno sicuramente, ma stabilirlo geneticamente sarà alquanto arduo. C’è poi qualche altro partito che, a seguito della sua fallimentare strategia per mandare a casa il primo cittadino, ha finalmente compreso che deve mettere da parte i proclami di sfiducia e lavorare in modo più accorto e meno manifesto alla fine anticipata dell’amministrazione comunale: è il Pd marcianisano di Angelo Raucci che non parla più di mozione di sfiducia, si guarda attorno e intrattiene colloqui con quanti son pronti a voltare le spalle al sindaco. Caro segretario, della vecchia e gloriosa Dc avete assimilato tutte le qualità eccetto la scaltrezza. Riuscirà comunque il Pd nel suo intento? Nei prossimi giorni ne sapremo qualcosa. In conclusione, a Capodrise c’è chi dopo l’esperienza amministrativa di Angelo Crescente, già conta di avere la vittoria in tasca, si erge a baricentro indispensabile e insostituibile della politica locale, fa acquisti, si concede il lusso per bocca del suo segretario ed ora anche dei dirigenti di analizzare le dinamiche in atto sia a livello politico che di sviluppo economico del territorio. E’ il caso dei Democratici di Pietro di Bernardo cui consigliamo un’attenta lettura di una favoletta di Fedro intitolata “Rana rupta et bos” ( La rana scoppiata e il bue):” Imitando il potente, muore il povero. E la rana in un prato scoprì il bove. Invidia di grandezza la toccò, rigonfiò la sua pelle, tutta rughe. Poi chiese ai figli s’era lei più larga del bove: le risposero no. La pelle ancora con pena stirò, e s’informò dai figli come prima chi era più grande, e ridissero: il bove. Fu l’ultimo suo sdegno. Fu uno sforzo di volontà: si ruppe e così giacque”.