Stamani mi sono svegliato con i muscoli particolarmente rilassati, una sensazione di leggerezza, piacere alla pancia e le papille del naso inebriate dal profumo dell’ottimismo. Tutto lasciava presagire che sarebbe stata una bella giornata di tepore primaverile con qualche agognatissima novità: spunteranno altri girasoli e faranno compagnia all’unico che timidamente ha messo la testa fuori dal vaso piccolo sul balcone. Come insegna la vita, però, non sempre ciò che desideriamo si realizza e il dispiacere si fa spazio nell’animo: do uno sguardo tra le fessure della tapparella e mi accorgo che è una giornata uggiosa con cielo plumbeo e malinconico. La delusione è tanta e ho urgente bisogno di distrarmi, magari con una delle mie solite masturbazioni intellettuali. Riaccendo il cellulare e, mentre scorro la bacheca di Facebook, mi balza agli occhi alcune parti di un discorso rivolto ai politici durante il convegno estivo di Symbola: “Dateci un progetto […] diteci dove volete portare il paese da qui a 3/5 anni […] dateci una motivazione per sacrificarci oggi”. Mi fermo un po’ a pensare e arrivo alla conclusione che oggi, rispetto al passato, sono venuti meno i valori di riferimento e si privilegia la forma, l’età, la spregiudicatezza, la rapidità con cui si comunica sui social o in televisione. I ragionamenti, i progetti e i piani hanno lasciato il posto agli slogan attraverso post o tweet intrisi di obiettivi a brevissimo termine. Oggi si fa davvero fatica a distinguere tra un politico e l’altro perché tutti hanno come solo fine la ricerca spasmodica del consenso immediato con trovate e colpi ad effetto. E io, come mi pongo rispetto alla situazione che si è venuta a creare? Il dubbio inizia a insinuarsi nella mia mente ed è necessario venirne a capo. Dopo una serie di valutazioni, riesco fortunatamente a trovare la quadratura del cerchio: “Non mi scandalizza questo modo di fare, il consenso è senz’altro uno degli aspetti determinati del nostro sistema democratico, ne è il fondamento, fattore costitutivo, ma sarebbe cosa buona e giusta non limitarsi a propagandare che diverremmo i primi della classe e delineare precisamente obiettivi, percorsi e tempi”. Ed io che sono ottimista di natura, non dispero. Prima o poi, in ossequio al grande Giovan Battista Vico e alla sua teoria dei corsi e ricorsi storici, ci sarà una felice inversione di tendenza. E saranno, lasciatemi passare la profezia, soprattutto gli operatori della comunicazione, che più di ogni altro sanno quali tasti toccare, ad imprimere una svolta. Basta dare un’occhiata fugace alle sofisticate tecniche di consenso del sindaco di Marcianise Antonello Velardi che, da maestro di comunicazione qual è, ed eletto con una coalizione di centrosinistra, ha stabilito un dialogo così forte e diretto con la cittadinanza imperniato su tematiche assai care ai dormienti grillini, da meritarsi a pieno titolo l’appellativo di “sindaco a 6 stelle”. E sì, perché Velardi è un vero furbacchione, sa che toni accessi, rifermenti poco forbiti ed eleganti, estemporanee dirompenti, atteggiamenti poco istituzionali, solo per usare comodi eufemismi, se da un lato gli fanno perdere i consensi degli addetti alla politica e degli strati sociali medioalti, quantizzabili a mio modesto parere in un 20 % dell’elettorato, dall’altro (ricorrendo anche ad una serie di interventi amministrativi che raggiungono tempestivamente ed efficacemente gli elettori più di qualsiasi mirato caseggiato), gasa, mantiene sempre “caldi”, la restante parte maggioritaria della popolazione. Chi invece di consenso e governo non vuol proprio sentirne parlare è la sinistra capodrisana, bagaglio di grande idee, esperienze, capacità, ma afflitta da sindrome della prima donna e autolesionismo in fase acuta. Ebbene, mentre Crescente finalmente fa “coming out”, ritrova la sua identità e si fa eleggere nell’Ato rifiuti in quota centrodestra, Argenziano e Glorioso si lasciano. Per dirla nuda e cruda, “nulla di nuovo sotto il sole”: divisi al momento della presentazione delle candidature a sindaco, ho perso il conto di quanti erano gli aspiranti a sinistra, e da oggi divisi anche all’opposizione. Ne soffriranno, e non poco, Cicerone e Machiavelli giacché a Capodrise “Historia non magistra vitae”. Vi confesso che ho provato la stessa delusione della disfatta di Tsipras: lacrime e sangue per raggiungere quel fatidico 4 % e poi ognuno per la sua strada. Aspettando tempi migliori per la politica, vi lascio con una frase meravigliosa di Luigi Einaudi: “Non le lotte o le discussioni devono impaurire, ma la concordia ignava e l’unanimità dei consensi.”