Amo i primi e ho un particolare debole più per salato che il dolce , ma ai miei amici ribadisco spesso che solo per una bistecca alla fiorentina cotta al sangue con contorno di radicchio all’aceto balsamico o di funghi son pronto a fare qualsiasi tipo di follia. La mangerei tutti i giorni , però, siccome illustri medici a partire dall’oncologo Umberto Veronesi dicono che fa male, ne divoro una a settimana. Altro pasto che è sempre sulla mia tavola durante il periodo autunnale- invernale e di cui posso sbafarmi perché fa solo bene è il “Mbastuocchio” con cime di rape, fagioli e pane non più fragrante. Un piatto saporito, salutare e che rallegra il palato e la coscienza perché evita di compiere un vero e proprio peccato: buttare il pane raffermo. Di questo piatto povero di origine contadina , il cui nome deriva per l’appunto dal fatto che ai tempi della canapa le contadine preferivano riciclare il pane non più fragrante per farne una gustosa zuppa con le verdure e legumi, ce ne sono diverse versioni in Italia. In Toscana, ad esempio, prende il nome di ribollita ed è un piatto che deriva dalla tipica zuppa di pane raffermo e verdure che si prepara tradizionalmente in alcune zone, in particolare nella Piana di Pisa, nella zona di Firenze e Arezzo. È un tipico piatto “povero” di origine contadina, il cui nome deriva dal fatto che un tempo le contadine ne cucinavano una gran quantità (soprattutto il venerdì, essendo piatto magro) e quindi veniva “ribollito” in padella nei giorni successivi, da qui che prende il nome di ribollita, perché la vera zuppa si riscalda due volte, altrimenti sarebbe una banalissima zuppa di pane e verdure (da non confondersi dunque con la minestra di pane). Come tutte le altre minestre di verdura anche la ribollita diventa sempre più gustosa ogni volta che viene “ribollita” sul fuoco. Gli ingredienti fondamentali sono il cavolo nero o cavolo verza e i fagioli (borlotti, toscanelli o cannellini). La ribollita è un piatto invernale di aspetto semisolido. Per rendere migliore la zuppa è necessario che il cavolo nero abbia “preso il ghiaccio”, che sia passato cioè da una o più gelate invernali che ne ammorbidiscano le foglie. La cosa migliore è “ribollire” la zuppa nel forno a legna comunque in un tegame con un buon fondo spesso per evitare che si attacchi e si bruci al fondo. Si usa aggiungere alla “ribollita” un filo d’olio extravergine e affettarci una cipollina fresca. Nella cucina toscana vi era anche una zuppa di pane estiva, oggi quasi irrealizzata, nella quale il cavolo nero era sostituito dalle patate, mentre l’aspetto finale, decisamente più liquido, la rendeva più simile ad un minestrone. Tornando, invece, al “Mbastuocchio” presente sulle tavole dei casertani gli ingredienti sono: cime di rape o “ vruocl’ e rape” come sono chiamate nel dialetto locale, pane non più fragrante tagliato a dadini, fagioli, aglio, peperoncino, olio extra vergine di oliva o sugna, sale. La mia preparazione inizia con la cottura dei fagioli nel “Pignatiello” (una specie di pentola in creta, simile ad un piccolo orcio, con bocca larga ed intorno al collo vi sono due ampi manici per la presa) cotti vicino al camino. I broccoli di rapa invece vengono buttati in acqua bollente per circa 5 minuti, mentre in una casseruola si fa rosolare olio extra vergine di oliva (o strutto),aglio e peperoncino. Non appena l’aglio diventa biondo scuro, vengono aggiungete le cime di rapa e fatte insaporire per un paio di minuti. Poi occorre aggiungere poco meno di un litro d’acqua tiepida e subito dopo i fagioli. Una volta portato a bollore il tutto per 10-15 minuti a fuoco lento, bisogna aggiungere il sale e il pane raffermo tagliato a dadini. Dopo aver fatto asciugare tutta l’acqua, occorre far riposare per circa 10m minuti e servire a tavola.
Ringrazio l’amico Pasquale Alberico e il suo blog isaporidelmediterraneo@blogspot.com per le utili informazioni e immagini.