E’ un tema che da diversi anni stuzzica la mia curiosità perché abbraccia diverse discipline o ambiti (religione, storia, letteratura), investe la persona nella sua dimensione più intima ed ha importantissimi risvolti in ambito sociale. Innanzitutto occorre chiarire che cosa intende la religione cattolica per celibato. All’anagrafe e nel linguaggio comune per celibe si intende chi non è sposato, mentre nel significato cattolico il concetto di “celibato” è strettamente legato a quello di “castità”. Per dirla con parole semplici il celibe, in senso comune, non ha contratto matrimonio però può avere rapporti sessuali con chi vuole, frequentare e innamorarsi, invece il prete deve vivere nella castità totale, cioè non solo astenersi da qualsiasi rapporto sessuale, ma anche avere un cuore puro, un cuore libero anche affettivamente, perché è consacrato al Signore. Per violare il celibato, dunque, basta semplicemente che un prete scambi delle carezze o baci con un potenziale partner. A questo punto sorge spontaneo chiedersi:” Chi ha istituito il celibato per i preti e per quale motivo”?
Notizie
Riflessioni su fatti e notizie che stanno avvenendo in Italia e nel mondo.
I politici son tutti uguali?
Con la speranza di caricarci sulle spalle un peso sostenibile per la nostra deboluccia colonna vertebrale, oggi ricorreremo alla grande sapienza e saggezza degli antichi per cercare di interpretare lo stato d’animo della gente e la volontà, più o meno manifesta, di chi quotidianamente amministra la cosa pubblica. Circa 26 anni fa durante i nostri studi liceali, abbiamo avuto il piacere di cimentarci nella traduzione di una versione di Valerio Massimo intitolata “Anus Syracusarum” ( La vecchia di Siracusa) che troviamo di straordinaria e squisita attualità: “Tutti gli abitanti di Siracusa desideravano vivamente la fine del tiranno Dioniso a causa della sua eccessiva crudeltà e delle insostenibili imposte del regno. Al contrario una vecchia, ogni giorno di buon mattino, pregava gli dei affinché Dioniso restasse in salute. Questi, quando sentì di questa cosa, poiché desiderava conoscere la causa di tanta benevolenza non meritata, fece venire la vecchia e le chiese il perché facesse questo. Allora quella rispose:
LA CORSA ALLE POLTRONE
Oggi vorrei condividere un dubbio che mi assilla da tempo e di cui non riesco a venire a capo. Mi son più volte chiesto:” Come mai in un periodo segnato da ripetuti episodi di corruzione e di arresti, aumenta invece che diminuire il numero non dei “muratori della politica”, ma delle prime donne ossia di coloro che ardono dal desiderio di ricoprire cariche importanti ? Vale la pena oggi di correre rischi così pesanti, il più delle volte non solo per il tuo operato, ma anche per una banale distrazione sulle azioni e gli atti compiuti dal tuo entourage?
Breve storia di un campione
Chiacchierata spassionata ed esclusiva con Peppe, vincitore de L’Eredità su Rai 1.
Conosco Peppe dagli anni del liceo. Erano i ruggenti anni 90 e alla lunga chioma Giuseppe Vittorio De Chiara della V B abbinava tre orecchini al lobo sinistro. Ironico, simpatico, vulcanico, esibizionista, studioso, svogliato, trasgressivo, nel ’92 si guadagna per la prima volta la scena risultando l’unico studente del liceo scientifico Federico Quercia a non essere ammesso all’esame di maturità.
Ricevo e pubblico “Il mito della legge tra crisi e catastrofi: il cortocircuito democratico della rappresentanza” di Raffaele Delle Curti
In questo particolare momento storico del nostro Paese, segnato da continue grida di pericoli per la democrazia e da un profondo mutamento del nostro assetto costituzionale, reputo che l’intervento qui di seguito di Raffaele Delle Curti, offra interessanti spunti di riflessione.
“La parola democrazia porta con sé, nel suo bagaglio di storia, la sventura di avere una fattezza tanto bella; e si sa la ragazza più bella del paese è sulla bocca di tutti.
Tutti la rincorrono, tutti l’apprezzano, tutti la vogliono .
Tutti ne bramano il possesso per esibirla nel dì di festa manco fosse un vessillo o un gagliardetto, simbolo di conquiste, ma ahimè, anzi “ahinoi”, pochi la amano.
Ogni qualvolta abbiamo bisogno di un lustrino, di una coccarda per imbandire i nostri discorsi, le nostre ricostruzioni ardite ricorriamo ad essa, come un cucciolo impaurito rincorre la “sottana” della madre.
Il problema principe è che attraverso questo costume, uso-abuso, si rischia di mandare messaggi poco appropriati.
Si rischia, seriamente, di confondere il concetto di democrazia con