Dopo aver vinto all’ultimo Festival di Cannes il Grand Prix, il Premio Fipresci della critica internazionale e la Queer Palm ed essere stato scelto dalla Francia come candidato ai prossimi Oscar nella categoria del miglior film straniero, le battaglie del gruppo francese di attivisti di Act Up negli anni Novanta contro l’irresponsabile indifferenza del governo, la mancanza di campagne di prevenzione, il cinismo delle aziende farmaceutiche, l’omofobia diffusa e il loro desiderio di divertirsi, amare e affrontare insieme la paura della morte hanno debuttato nelle sale francesi (650mila spettatori in meno di 4 settimane di programmazione) e la prossima settimana giungeranno nelle sale cinematografiche italiane. Qui di seguito il trailer e la critica:
CRITICA
“(…)Robin Campillo ha sorpreso tutti con un film che sdegna l’attualità e le mode autoriali. Con scrupolo documentale, ‘120 battements par minute’ (‘120 battiti al minuto’) rievoca gli anni, a cavallo dei Novanta del secolo scorso, quando l’Aids si diffondeva senza trovare freni, la medicina sembrava impotente e la politica (il film è ambientato a Parigi) preferiva chiudere gli occhi. Al centro, i militanti di Act Up che moltiplicano le azioni pubbliche per scuotere l’opinione pubblica e sensibilizzare la società sui problemi dei malati. (…) Campillo lavora per accumulo, come preoccupato di non nascondere niente dei suoi militanti e cercando la forza delle emozioni grazie a un gruppo di giovani attori dove svetta Nahuel Pérez Biscayart nel ruolo dell’esuberante Sean. A volte il film rischia qualche ridondanza, ma su un argomento così scivoloso come quella che era chiamata «la peste del secolo» sa evitare moralismi e prediche e chiede allo spettatore un meritorio salto indietro nella memoria.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 21 maggio 2017)
“Ambientato nei primi anni Novanta, analizza il gruppo dall’interno, ricordando che in questi casi il personale è davvero politico. Con poche cadute didascaliche, come il montaggio parallelo tra un rapporto sessuale e la dispersione delle ceneri di un militante morto. In questa chiave si giustifica il versante mélo, anche se Campillo, ottimo sceneggiatore (ha collaborato spesso con Laurent Cantet), è regista dallo sguardo a volte incerto: le singole scene durano sempre troppo (e infatti le due ore e un quarto di durata sono faticose), la musica è talvolta enfatica. Anche se la serietà del regista è indiscutibile: racconta cose che conosce, e si vede.” (Emiliano Morreale, ‘La Repubblica’, 21 maggio 2017)
“(…) è attraverso il rapporto con la malattia (come metafora) che emergono il conflitto, l’omofobia, i pregiudizi sociali mai sopiti e molto accesi anche oggi. Fuori la battaglia, il Gay Pride, la guerrilla contro la multinazionale di stato, la controinformazione nelle scuole – la faccia della ragazzina supponente che tanto lei non si ammala, mica è gay – i momenti di intimità tra Sean (Nahuel Perez Biscayart) e il suo compagno Nathan (Arnaud Valois) conosciuto nel gruppo. Dentro il confronto, le litigate, le strategie – nel cast anche Adèle Haenel già protagonista per i Dardenne. Cosa fanno, chi sono, quale è la vita privata di ciascuno oltre quella stanza e l’impegno non lo sappiamo ma non importa. Campillo ha raccontato di essere partito dal suo vissuto, l’esperienza da attivista in quegli stessi anni con Act Up, e la continuità tra vita e politica è la scommessa di questo racconto.” (Cristina Piccino, ‘Il Manifesto’, 21 maggio 2017)