Sarà l’estate che bussa alla porta col suo gradevole caldo e soporifero venticello o un fine settimana particolarmente intenso a causa di diverse, improcrastinabili, vitali novità apportate alla casa mentre alla radio Mannoia canta “Come si cambia per non morire, come si cambia per amore”, ma oggi sono particolarmente in vena di abbandonarmi a pensieri filosofici e perle di saggezza.
Vi chiedo, se non avete niente di meglio da fare, solo di sopportarmi per alcuni minuti, sciroppandovi le mie stravaganti considerazioni.
Inizialmente ero in dubbio se focalizzare la mia attenzione su un concetto piuttosto che l’altro, distanti migliaia di anni luce: “Cosa ci resta se abdichiamo al nostro ruolo?”, oppure “Il valore del ricordo”. Ma poi mi sono detto: “Visto che sono pensieri perditempo, perché non tentare di metterli insieme?”
Così ho miscelato il tutto e ho preparato per voi questo cocktail, che spero sia di vostro gradimento: “Di certo e di eterno c’è solo il ricordo, ragion per cui ognuno di noi deve cercare di interpretare al meglio e svolgere con coraggio e coerenza il proprio ruolo”. Presa in prestito dall’ingenuo maghetto Harry Potter, la pietra filosofale che, guarda caso, tra le sue 3 proprietà straordinarie ha quella dell’onniscienza, mi sono guardato attorno e cercato di trovare conferma alla mia sensazionale invenzione. Ebbene, premesso che la mia è una fotografia e non un giudizio di valore, basta dare una fugace occhiata alla realtà politica locale che subito mi sovviene alla mente la splendida favola tinta di ironica malinconia di “Non ci resta che piangere” perché i partiti, movimenti, aggregazioni civiche e larga parte di consiglieri comunali da tempo hanno rinunciato a stare sui fatti della città e al loro ruolo propositivo, di ascolto e accoglimento delle richieste, suggerimenti e istanze della gente.
Oggi l’opposizione di derivazione abbatiana dall’Aventino è in trepida attesa che il sindaco si incarti da solo. Evidentemente, sotto il profilo strategico, hanno fatta proprio il pensiero di Indro Montanelli che riguardo a un signore, che prima di abbracciare agnellini e allattare caprette, ha governato per un ventennio il nostro paese, ebbe a dire: “Berlusconi è il migliore antidoto a se stesso”.
I Cinquestelle, dal canto loro, continuano a macinare mozioni e gazebo, ma nulla a che fare con le focose, instancabili, stringenti sentinelle che siamo abituati a vedere in altre realtà. Dulcis in fundo, la maggioranza: chi di mattina mangia pane e volpe e imita le pose, la gestualità e anche le modalità comunicative del sindaco ma deve applicarsi di più, l’originale è ancora troppo lontano. Qualcun altro è talmente innamorato del sindaco che cerca, respira e vive della sua aria e, a volte, addirittura confonde il suo nome con quello del primo cittadino. Altri, come canne al vento e in ossequioso silenzio, affidano se stessi e la città al fluire degli eventi. Si contano sulle dita di una mano, infine, quelli che, muniti di autonomia di pensiero e necessaria lungimiranza, hanno capito che il tempo inesorabilmente scorre e occorre darsi da fare perché si corre il rischio di passare come delle meteore. Chi non ha di questi problemi, e anzi esercita e sovrespone mediaticamente il suo ruolo, è il sindaco Antonello Velardi, vuoi perché fedele al motto latino “melius abundare quam deficere”, forse per carattere o ancora per valutazioni prettamente strategiche. Caro sindaco, è mia modesta convinzione che lei sia il sindaco più operativo, tenace e instancabile degli ultimi anni, ma mi consenta un paio di modesti suggerimenti: si soffermi un po’ sulle scelte da compiere perché la fretta è cattiva consigliera, sia più collegiale nelle scelte, insegua i compromessi non al ribasso e imprescindibili dal rispetto delle regole, si circondi di più persone che abbiano quel quid in più in termini di idee e valutazioni proprie. Perché sa, come si dice dalle nostre parti “I deritti moreno sempe pe ‘a mano ‘e nu fesso”.