PRIMO MAGGIO AL MONUMAENTO ( racconto di Alessandro Tartaglione)

Erano passate le 4 del pomeriggio in quell’interminabile primo di maggio. L’aria fuori era buona ed il sole si presentava, sin dal mattino, timido ma a tratti vigoroso e, quindi, efficace. Le Boca avevano vomitato già seimila e rotti biglietti, ma la gente continuava imperterrita ad entrare perché la festa del lavoro va onorata così, come Dio comanda, sin dalla notte dei tempi moderni. Il flusso ininterrotto di gitanti si presentava come un fiume umano e nulla li avrebbe fermati, nemmeno quel mostro di fila che si presentava spaventoso agli impavidi amanti dell’uscita primaverile. La frittatina con i maccheroni c’era, la peroni ammacchiata tra le bottigline dell’acqua pure ed il rosso del super santos si esibiva come un trofeo da mostrare orgogliosamente a chiunque. Fu allora che mi si avvicinò una coppia sui trenta abbondanti. Lei aveva i tacchi altissimi ed il posteriore che sfidava i suoi jeans sofferenti. Lui gli occhi lucidi tipico di chi ha onorato la tavola lucullianamente. Alza l’indice e si dichiara: “Scusato, ma pe trasire dinto al monumAEnto si paca?”. La mia risposta era già bella e collaudata e stava per essere proferita con l’automatismo ed il sorriso proprio di chi dopo 7 ore filate di lavoro vorrebbe solo riabbracciare il cuscino da cui alle 6.30 di quella mattina aveva dovuto forzatamente staccarsi. Ma qualcosa mi fermò anche se non me ne rendetti conto subito. Solo dopo uno sbandamento iniziale mi ricordai di quel micidiale “AE” che mi aveva provocato un’apnea lunga ed inaspettata. Due misere lettere capaci di liberare miliardi di particelle che mi si presentarono sotto forma gassosa bruciandomi letteralmente tutti o quasi i chemocettori dell’apparato olfattivo. Una mistura micidiale fatta di dosi massicce di tavernello aggiustato con fosfati, birra da discount evaporata e braciate miste primaverili con finale di “carcioffola arrustuta”. Un colpo basso da pugile esperto che mi stava mandando al tappeto proprio quando intravedevo una piccola lucina in fondo al tunnel, alla fine di questa benedetta giornata di lavoro. Solo quando i sensi ricominciarono pian piano a riattivarsi, come dopo una prolungata nuotata sott’acqua, riuscii ad indicare chi mi stava affianco e sillabare affannosamente: “Par-li-con-la-mia-col-le-ga….”

 

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