Questo calcio non mi piace.
Non sono mai stato tifoso della Juventus, e mai lo sarò, anche se da sportivo, ho assistito a ben tre finali della Champion’s League o Coppa dei Campioni come si chiamava all’epoca. Purtroppo, nei tre incontri ai quali ho partecipato come spettatore, erano impegnate squadre italiane, ma non il mio Napoli, quello di Diego Armando Maradona, che ho seguito ovunque. La prima esperienza con la Coppa dei Campioni fu ad Atene, dove nello stadio Olimpico, il 25 maggio del 1983, il tedesco Felix Magath, con un tiro dal limite dell’area rigore, beffò il portiere della Nazionale italiana, Dino Zoff, facendo vincere l’ambita coppa dei Campioni all’Amburgo, contro la Juve di Gentile, Cabrini, Tardelli e Pablito Rossi, che godeva del favore del pronostico. La seconda volta, l’anno dopo, fu la volta della Roma di Falcao, che ebbe l’opportunità di giocarsi la finale in casa, il 30 maggio del 1984, contro gli inglesi del Liverpool. Una partita che finì ai rigori e che il calciatore simbolo della Roma, Paulo Roberto Falcao, si rifiutò di tirare. La Roma perse la coppa. Infine, il 29 maggio del 1985 mi recai a Buxelles per assistere alla finale in cui era impegnata, ancora una volta, una squadra italiana, la Juventus che era arrivata in finale per affrontare la vincitrice della coppa dell’anno precedente contro la Roma, il Liverpool. E’ stata, probabilmente, la più brutta esperienza della mia vita. Prima di entrare all’Heisel ebbi modo di vedere le centinaia di tifosi inglesi, i cosiddetti hooligans, tutti ubriachi, che da ore bivaccavano intorno allo stadio. Fortunatamente ero nella tribuna centrale e mentre attendevamo l’inizio della partita, si vedevano strani movimenti nella curva alla mia sinistra. Un settore che, stranamente, era occupato da una tifoseria mista. Si intravedevano le bandiere bianconere ed i simboli del Liverpool. Con il passare del tempo, in quella curva si vedevano degli strani movimenti e persone che si assiepavano sempre di più al limite sinistro del settore. All’improvviso, accompagnato da un boato del pubblico, vidi crollare un muretto di contenimento e tanta gente cadere giù. Seguirono le fasi concitate, con l’ingresso in campo di soccorritori, gente che si avvicinava alla curva e, correndo, tornava indietro. Fino a quando iniziò la passerella dei calciatori della Juventus che si recavano a turno nella curva opposta, occupata interamente dai tifosi bianconeri. Scirea, Tardelli, Cabrini, fino alla stella Platinì, che tentavano di parlare con i loro tifosi. Sulla tribuna dove ero non si capiva cosa stesse accadendo. Si parlava di qualche vittima dovuta alla caduta del muro in curva. Un morto, forse due. Intanto, il tempo passava e la partita non iniziava e in campo si schierarono le guardie a cavallo. Da diverse ore sugli spalti, il servizio d’ordine non concesse a noi sulla tribuna centrale di muoverci da lì. Nemmeno per andare in bagno, i cui locali erano al di sotto della tribuna. Qualcuno che era riuscito a superare lo sbarramento e al ritorno parlava di decine di morti in fila, deposti proprio nei locali sottostanti la tribuna. Dopo tanta attesa, alla ricerca di qualche notizia, iniziò la partita con un ritardo di diverse ore. Io, preoccupato per le notizie che arrivavano, la partita non l’ho vista. Ricordo solo il rigore trasformato da Michel Platini e la sua esultanza. L’esultanza di tutta la Juventus. Che tristezza! Alle due di notte, ci fecero uscire dallo stadio, in fila passando tra due ali di poliziotti fino ai pullman. I torpedoni ci condussero direttamente all’aeroporto dove alle sei ci imbarcarono sull’aereo per Napoli. Ricordo quello strano silenzio, nessuno riusciva a parlare. Tornai a casa intorno alle undici e mi sorprese la gioia dei miei familiari quando mi videro. Da allora non sono andato più in uno stadio. Solo da qualche anno, con la rinascita del mio Napoli, ho incominciato a seguire nuovamente il calcio, ma non sono andato più in uno stadio. Se questo è il calcio a me non piace.